Argomento sempre caldo e dibattuto, l’eutanasia non smette di fornire spunti per discussioni interessanti, anche se, è innegabile, spesso hanno la brutta tendenza a degenerare rapidamente. Troppo diverse le posizioni in campo, arroccate su opposti spesso inconciliabili ed incapaci di un dialogo costruttivo. Menti brillanti offuscate dalle proprie convinzioni risultano nient’altro che un cavallo coi paraocchi che vorrebbe correre nel prato ma non smette di andare a sbattere contro qualche albero.
Lungi da me addentrarmi in questo campo minato, non se ne uscirebbe più. Non si può dire cosa è giusto o cosa non lo è, come si pretende spesso di fare, ma penso ognuno abbia la propria opinione in merito ed andrebbe rispettata.
Sotto il termine eutanasia possono rientrare tantissime situazioni, molto diverse l’una dall’altra. Quando si fa un discorso in merito bisognerebbe innanzitutto avere presente questo punto di partenza fondamentale. A grandi linee, si può parlare di eutanasia volontaria (quando c’è un’espressa richiesta del paziente) e non volontaria (quando ad esempio il paziente è incapace, impossibilitato ad esprimere la propria opinione). Di eutanasia attiva, quando si interviene in maniera diretta (ad esempio somministrando apposite sostanze) per procurare la morte del paziente e di eutanasia passiva, allorché la morte sopraggiunge per cause indirette (per esempio quando si ha l’astensione da interventi che manterrebbero in vita il paziente). Altri casi di cui bisogna tener presente e che rientrano spesso nel discorso sono il cosiddetto suicido assistito (quando non si ha un intervento diretto di terzi ma è il paziente stesso a porre fine alla propria vita per evitare ulteriori sofferenze con conoscenze/mezzi forniti dal medico) e l’accanimento terapeutico (ovvero il ricorso a interventi medici di prolungamento della vita al fine di sostenere artificialmente le funzioni vitali di individui affetti da patologie inguaribili).
In queste brevi definizioni, dietro questi termini del tutto generali ondeggia una grande varietà di situazioni, a seconda del quadro clinico del paziente.
La situazione va valutata da molti punti di vista che andrebbero scissi per valutare serenamente la questione, ma le discussioni in ambito religioso, giuridico, politico, etico, medico, filosofico, morale, scientifico continuano ottusamente a stagnare sempre sugli stessi punti.
Comunque, inutile negarlo, anche all’interno di ognuno di noi vi sono spinte contrapposte che ci potrebbero fare propendere per una o per l’altra strada.
Una soluzione potrebbe essere il tanto citato testamento biologico in cui ogni persona esprima la propria volontà, in condizioni di lucidità mentale, in merito alle terapie che intende o non intende accettare nell'eventualità in cui dovesse trovarsi nella condizione di incapacità di esprimere il proprio diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte per malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili o invalidanti, malattie che costringano a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione.
Perché, ricordiamolo, la costituzione italiana, all’art. 32 sancisce: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
Il testamento biologico penso potrebbe risolvere molte questioni, rilanciando tra l’altro la libertà di scelta di ognuno di noi. Ognuno potrebbe valutare preventivamente pro e contro di ogni sua decisione in merito e metterlo per iscritto in maniera che le sue volontà possano venire rispettate in caso si presenti quella determinata situazione. Vivendo in un paese democratico in cui “la libertà personale è inviolabile” e “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero”, ci si aspetterebbe forse che un tale “testamento” fosse già in uso da anni. Ogni persona deve poter essere sovrana nella sua sfera privata, libera da vincoli imposti da altri, e poter seguire il proprio giudizio secondo coscienza.Per quanto mi riguarda se mai mi dovesse succedere qualcosa che mi impedisca di vivere in maniera dignitosa, che mi tenesse inchiodato su un letto di ospedale, che mi rendesse dipendente da farmaci, macchine etc, che mi facesse essere soltanto un peso per gli altri, spero nessuno si opporrà al lasciarmi andare in pace, magari aiutandomi se non fossi in grado di farlo da solo. Si può pensarla in maniera diversa, ma per me quella non è vita.
Lungi da me addentrarmi in questo campo minato, non se ne uscirebbe più. Non si può dire cosa è giusto o cosa non lo è, come si pretende spesso di fare, ma penso ognuno abbia la propria opinione in merito ed andrebbe rispettata.
Sotto il termine eutanasia possono rientrare tantissime situazioni, molto diverse l’una dall’altra. Quando si fa un discorso in merito bisognerebbe innanzitutto avere presente questo punto di partenza fondamentale. A grandi linee, si può parlare di eutanasia volontaria (quando c’è un’espressa richiesta del paziente) e non volontaria (quando ad esempio il paziente è incapace, impossibilitato ad esprimere la propria opinione). Di eutanasia attiva, quando si interviene in maniera diretta (ad esempio somministrando apposite sostanze) per procurare la morte del paziente e di eutanasia passiva, allorché la morte sopraggiunge per cause indirette (per esempio quando si ha l’astensione da interventi che manterrebbero in vita il paziente). Altri casi di cui bisogna tener presente e che rientrano spesso nel discorso sono il cosiddetto suicido assistito (quando non si ha un intervento diretto di terzi ma è il paziente stesso a porre fine alla propria vita per evitare ulteriori sofferenze con conoscenze/mezzi forniti dal medico) e l’accanimento terapeutico (ovvero il ricorso a interventi medici di prolungamento della vita al fine di sostenere artificialmente le funzioni vitali di individui affetti da patologie inguaribili).
In queste brevi definizioni, dietro questi termini del tutto generali ondeggia una grande varietà di situazioni, a seconda del quadro clinico del paziente.
La situazione va valutata da molti punti di vista che andrebbero scissi per valutare serenamente la questione, ma le discussioni in ambito religioso, giuridico, politico, etico, medico, filosofico, morale, scientifico continuano ottusamente a stagnare sempre sugli stessi punti.
Comunque, inutile negarlo, anche all’interno di ognuno di noi vi sono spinte contrapposte che ci potrebbero fare propendere per una o per l’altra strada.
Una soluzione potrebbe essere il tanto citato testamento biologico in cui ogni persona esprima la propria volontà, in condizioni di lucidità mentale, in merito alle terapie che intende o non intende accettare nell'eventualità in cui dovesse trovarsi nella condizione di incapacità di esprimere il proprio diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte per malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili o invalidanti, malattie che costringano a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione.
Perché, ricordiamolo, la costituzione italiana, all’art. 32 sancisce: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
Il testamento biologico penso potrebbe risolvere molte questioni, rilanciando tra l’altro la libertà di scelta di ognuno di noi. Ognuno potrebbe valutare preventivamente pro e contro di ogni sua decisione in merito e metterlo per iscritto in maniera che le sue volontà possano venire rispettate in caso si presenti quella determinata situazione. Vivendo in un paese democratico in cui “la libertà personale è inviolabile” e “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero”, ci si aspetterebbe forse che un tale “testamento” fosse già in uso da anni. Ogni persona deve poter essere sovrana nella sua sfera privata, libera da vincoli imposti da altri, e poter seguire il proprio giudizio secondo coscienza.Per quanto mi riguarda se mai mi dovesse succedere qualcosa che mi impedisca di vivere in maniera dignitosa, che mi tenesse inchiodato su un letto di ospedale, che mi rendesse dipendente da farmaci, macchine etc, che mi facesse essere soltanto un peso per gli altri, spero nessuno si opporrà al lasciarmi andare in pace, magari aiutandomi se non fossi in grado di farlo da solo. Si può pensarla in maniera diversa, ma per me quella non è vita.