venerdì 12 dicembre 2008

Ciudad Juàrez, la città del femminicidio. Luchadoras di Peggy Adam


Ciudad Juàrez è un’imponente città messicana dove vive circa 1 milione e mezzo di persone. Situata al confine con gli Stati Uniti e dirimpettaia di El Paso, metropoli americana collocata sulla riva opposta del Rio Grande, Ciudad Juàrez è accompagnata da una fama alquanto sinistra ed inquietante.
Sorvolando sul suo essere un vero e proprio portale d’ingresso per gli Stati Uniti, dove transitano non solo migliaia di immigrati clandestini alla ricerca di una qualche speranza ed all’inseguimento del sogno di una nuova vita, ma soprattutto la grande maggioranza della droga colombiana destinata al mercato nord-americano, Ciudad Juàrez è ormai legata in maniera inscindibile alle continue notizie dei cruenti ed orrendi omicidi che ivi avvengono ai danni delle donne.
Dal 1993 si sono avuti oltre 400 casi di omicidio di donne e 600 scomparse (che in una realtà del genere sono praticamente la stessa cosa, solo che i cadaveri vengono occultati o distrutti grazie a calce viva ed acidi invece che lasciati in luoghi pubblici dove possono essere facilmente rinvenuti).
La tipologia dei delitti è quasi sempre la stessa: le donne vengono rapite, torturate, violentate, seviziate, a volte mutilate ed infine strangolate. Passano parecchi giorni tra il rapimento ed il ritrovamento del loro corpo esanime. In quei giorni davanti ai loro occhi si spalanca un inferno inimmaginabile. Senza una colpa né una motivazione che non sia la follia umana, vedono il loro futuro, le loro ambizioni, le loro speranze, i loro affetti, i loro sogni stroncati da individui senza scrupoli, da deviati barbari e sadici che godono nell’infliggere le peggiori sofferenze agli altri, accanendosi contro le donne indifese con una ferocia disumana.
Anche l’identikit delle vittime è più o meno sempre lo stesso: i misteriosi carnefici propendono a scegliere donne di umili origini, carine, quasi sempre operaie (la maggior parte di loro lavora nelle numerose maquiladoras presenti, le fabbriche che assemblano prodotti per l’esportazione per società multinazionali), tutte di struttura minuta, brune e con i capelli lunghi.
Molte sono state le ipotesi fatte sui possibili assassini, ma la polizia non è mai riuscita (alcuni sostengono che non abbia nemmeno mai provato seriamente) ad arginare il fenomeno, né a catturare i veri colpevoli, anzi a volte è stata accusata apertamente di negligenza se non di complicità (gli assassini sembrano avere legami con importanti ambienti politici ed economici, chi denuncia i crimini viene spesso minacciato, le indagini insabbiate, il tasso d’impunità resta praticamente del 100%).
La più credibile delle possibilità fa risalire il tutto all’operato di alcuni serial killer, prontamente emulati da numerose persone. Ma tanta depravazione ed una simile spietata crudeltà restano un mistero. C’è chi parla di riti satanici, di orge perverse di narcotrafficanti, di venditori di organi, di sacrifici umani per girare snuff movies in cui la vittima viene violentata, torturata ed uccisa di fronte alla camera da presa, di rapimenti commissionati da importanti imprenditori che sfogano tutto il loro sadismo seviziando e trucidando le donne.
Mai minacciati seriamente dalle autorità e dalla giustizia, gli assassini continuano tranquillamente il loro percorso criminale, forti anche di un ambiente in cui il predominio maschile caratterizza ogni livello dell’organizzazione sociale, sia tra le mura domestiche che nell’ambito lavorativo. La società è fortemente maschilista e patriarcale, la sottomissione della donna viene data per scontata e la violenza su di essa è percepita come lecita e quasi dovuta nel caso non “rispetti” il proprio uomo.
Si capisce dunque come questo massacro infinito, questo femminicidio senza soluzione di continuità, questa violenza viscerale perpetua abbiano fatto diventare Ciudad Juàrez la città simbolo della violenza sulle donne.

E’ in questo contesto autentico che Peggy Adam ambienta la sua opera, recentemente pubblicata in Italia da 001 Edizioni: Luchadoras. La protagonista è Alma, una donna dall’aspetto piacente e dal carattere fiero ed orgoglioso che lavora in un bar e vive, con la sua figlioletta, assieme a Romel, un uomo violento appartenente ad una delle tante bande locali. L’uomo tra le mura familiari è un vero e proprio despota, non accetta rifiuti dalla donna, non è contemplata l’idea che lei abbia libera scelta ed arbitrio, Alma deve fare sempre quello che vuole lui, quello che lui le dice di fare, in particolare non può nemmeno guardare gli altri uomini, pena un litigio cruento e feroce che si conclude sempre con il pestaggio di Alma. I giorni si susseguono sempre uguali finché Alma non incontra Jean, giovane turista americano. La conoscenza con il ragazzo sembra dare una svolta alla vita di Alma, che decide anche di denunciare la violenza familiare subita ad una associazione che fornisce aiuto e sostegno alle donne.
La vicenda descritta nel libro ben rappresenta il contesto, degradante per la donna, in cui si svolgono i fatti: Alma è retrocessa al rango di bambolina senza volontà, ogni sua ribellione o tentativo di rivendicazione di sé viene pesantemente punito dal convivente che si configura come un padrone crudele e spietato.
Dal libro emerge perfettamente anche il clima che si respira in città: le continue sparizioni, il panico che queste creano tra le colleghe di lavoro, la tristezza ed il senso di impotenza di fronte ad ogni nuovo funerale, i ritrovamenti shockanti dei corpi mutilati e sfigurati fatti spesso dai bambini durante i loro giochi all’aperto.
Luchadoras fornisce un affresco di tutto ciò che spesso non si vuol vedere né sapere, narrando allo stesso tempo una storia coinvolgente ed emozionante che stupirà il lettore con il suo finale inaspettato.

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