Difficile trovare un tema più scottante della violenza sui minori. Argomento serio, impegnativo, che spesso urta la sensibilità della gente. Non se ne vuole sentire parlare, sembra una cosa inumana che non appartiene a questo mondo. Eppure tali atti non li compie nessun diavolo sceso in terra, nessun demone, il colpevole di azioni così terribili è sempre un uomo partorito dalla nostra società.
Il problema esiste e non affrontarlo non fa che peggiorare le cose: i crimini a sfondo sessuale sono i più diffusi, sono più frequenti perfino degli omicidi.
E non stiamo parlando di fatti che avvengono in paesi lontani, ma di ogni parte del mondo, con protagonisti gente di ogni razza, religione, estrazione sociale: non pensiamo a gente “barbara” che nulla ha a che fare col nostro mondo.
Fatto ancora più sconvolgente è che la maggior parte degli abusi sui minori non è opera di maniaci, pazzi che si aggirano per le strade, ma in 9 casi su 10 è opera di un parente o comunque di una persona vicina al bambino/a, che ha la sua fiducia, il dramma si consuma spesso in famiglia.
Talbot con “La storia del topo cattivo” squarcia il velo dell’indifferenza, del silenzio, abbatte il muro che si è soliti erigere per non venire a sapere di queste cose, è sempre comodo fare finta di niente ed andare avanti per la propria strada. Lui stesso nella postfazione del volume sottolinea quanto sia importante parlare del problema, portarlo alla luce, demolire questa “cospirazione silenziosa” e proporre una via di uscita a tutti quelli che hanno subito un trauma del genere.
Il ruolo dei media potrebbe essere infatti fondamentale: spesso le vittime, soprattutto quelle più giovani, pensano di essere le uniche in una situazione del genere, pensano che quanto accaduto affligga unicamente loro e tendono a chiudersi nel silenzio ed isolarsi dal mondo.
Helen è una ragazza bionda scappata di casa. Facciamo la sua conoscenza mentre sta mendicando nei corridoi della metropolitana. Capiamo subito che porta dentro di sé un carico esagerato di sofferenza, una ferita indelebile che la condiziona, qualcosa di brutto da cui non riesce a scappare. Parla a fatica, cerca di non dare confidenza a nessuno, non sopporta di essere toccata dagli altri. Grazie a brevi flashback veniamo a conoscenza di frammenti del suo passato, della sua situazione familiare difficile, anche se ancora non è chiaro quale sia stata la molla a far scattare in lei questo sentimento di repulsione verso gli altri.
Con il susseguirsi delle pagine, degli incontri che fa, delle decisioni che prende, dei ricordi del passato, Talbot ci fornisce il quadro completo della situazione.
Helen, per tornare a vivere veramente, per superare il trauma, deve confrontarsi con chi le ha causato tanta pena, tanto dolore, tanta sofferenza: il padre.
Il primo passo per poter uscire dal tunnel è infatti l’incontro con chi ha provocato il trauma, il superamento della disperazione in cui si è sprofondati può avvenire solo grazie ad un confronto con il proprio carnefice.
I bambini che subiscono un abuso sessuale solitamente tendono ad attribuire a sé stessi tutta la malvagità della molestia subita, pensano di essere cattivi, di non meritare di essere felici (“Ero convinta di essere la peggiore creatura che fosse mai stata messa al mondo. Non potevo dirlo a nessuno. Non volevo che si venisse a sapere che ero così cattiva. Non riuscivo ad avvicinarmi a nessuno, non sopportavo di essere toccata. Mi sentivo così sola. Così meschina. Così diversa da tutti gli altri. Mi sentivo un mostro.”), non riescono a vedere i propri genitori come persone malvagie.
Solo urlando in faccia al proprio torturatore tutta la rabbia per il suo comportamento egoistico, Helen riuscirà a tornare ad avere il controllo della propria vita.
Con una maestria lodevole, Talbot imprime sulle tavole la passione con cui affronta questo tema, affrescando con perizia la storia di Helen, il suo dramma ed il percorso di riappropriazione di sé: un libro da leggere!
Il problema esiste e non affrontarlo non fa che peggiorare le cose: i crimini a sfondo sessuale sono i più diffusi, sono più frequenti perfino degli omicidi.
E non stiamo parlando di fatti che avvengono in paesi lontani, ma di ogni parte del mondo, con protagonisti gente di ogni razza, religione, estrazione sociale: non pensiamo a gente “barbara” che nulla ha a che fare col nostro mondo.
Fatto ancora più sconvolgente è che la maggior parte degli abusi sui minori non è opera di maniaci, pazzi che si aggirano per le strade, ma in 9 casi su 10 è opera di un parente o comunque di una persona vicina al bambino/a, che ha la sua fiducia, il dramma si consuma spesso in famiglia.
Talbot con “La storia del topo cattivo” squarcia il velo dell’indifferenza, del silenzio, abbatte il muro che si è soliti erigere per non venire a sapere di queste cose, è sempre comodo fare finta di niente ed andare avanti per la propria strada. Lui stesso nella postfazione del volume sottolinea quanto sia importante parlare del problema, portarlo alla luce, demolire questa “cospirazione silenziosa” e proporre una via di uscita a tutti quelli che hanno subito un trauma del genere.
Il ruolo dei media potrebbe essere infatti fondamentale: spesso le vittime, soprattutto quelle più giovani, pensano di essere le uniche in una situazione del genere, pensano che quanto accaduto affligga unicamente loro e tendono a chiudersi nel silenzio ed isolarsi dal mondo.
Helen è una ragazza bionda scappata di casa. Facciamo la sua conoscenza mentre sta mendicando nei corridoi della metropolitana. Capiamo subito che porta dentro di sé un carico esagerato di sofferenza, una ferita indelebile che la condiziona, qualcosa di brutto da cui non riesce a scappare. Parla a fatica, cerca di non dare confidenza a nessuno, non sopporta di essere toccata dagli altri. Grazie a brevi flashback veniamo a conoscenza di frammenti del suo passato, della sua situazione familiare difficile, anche se ancora non è chiaro quale sia stata la molla a far scattare in lei questo sentimento di repulsione verso gli altri.
Con il susseguirsi delle pagine, degli incontri che fa, delle decisioni che prende, dei ricordi del passato, Talbot ci fornisce il quadro completo della situazione.
Helen, per tornare a vivere veramente, per superare il trauma, deve confrontarsi con chi le ha causato tanta pena, tanto dolore, tanta sofferenza: il padre.
Il primo passo per poter uscire dal tunnel è infatti l’incontro con chi ha provocato il trauma, il superamento della disperazione in cui si è sprofondati può avvenire solo grazie ad un confronto con il proprio carnefice.
I bambini che subiscono un abuso sessuale solitamente tendono ad attribuire a sé stessi tutta la malvagità della molestia subita, pensano di essere cattivi, di non meritare di essere felici (“Ero convinta di essere la peggiore creatura che fosse mai stata messa al mondo. Non potevo dirlo a nessuno. Non volevo che si venisse a sapere che ero così cattiva. Non riuscivo ad avvicinarmi a nessuno, non sopportavo di essere toccata. Mi sentivo così sola. Così meschina. Così diversa da tutti gli altri. Mi sentivo un mostro.”), non riescono a vedere i propri genitori come persone malvagie.
Solo urlando in faccia al proprio torturatore tutta la rabbia per il suo comportamento egoistico, Helen riuscirà a tornare ad avere il controllo della propria vita.
Con una maestria lodevole, Talbot imprime sulle tavole la passione con cui affronta questo tema, affrescando con perizia la storia di Helen, il suo dramma ed il percorso di riappropriazione di sé: un libro da leggere!
4 commenti:
grande puschiacci ga un blog. un omo dalle mille sorprese!
ailo...
grande tom!
in effetti l'ho appena creato.. non sapevo ne avessi uno (due) tu piuttosto!
che figo simo me lo presti?
sì certo!
ricordami di portartelo quando ci vediamo! :)
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